Il sistema sanitario italiano si ricorda di assumere infermieri solo nell’emergenza. E, comunque, con criteri discutibili e tutt’altro che tesi alla stabilizzazione lavorativa.

Nelle regioni settentrionali della cosiddetta “zona rossa” dell’emergenza-Coronavirus, con il decreto legge 9/2020 – “verificata l’impossibilita’ di assumere personale, anche facendo ricorso agli idonei in graduatorie in vigore” -, è sì consentito il conferimento di incarichi diretti e a termine di lavoro autonomo a personale medico ed infermieristico, ma – udite udite – collocato in pensione. Altro che assorbire giovani… E chi, delle nuove generazioni, ha risposto al bando dell’ospedale di Cremona, ad esempio, ha comunque accettato un incarico “di natura occasionale e temporanea”, seppur con compenso orario maggiorato, e con tempi di lavoro che “concordati tra l’azienda e il professionista a seconda della disponibilità manifestata e del perdurare della necessità assistenziale”. E ancora, ad Ancona, di 499 infermieri risultati idonei ad un concorso, per 57 si sono da subito aperte le porte dell’assunzione, ma sempre a tempo determinato.

In Sardegna pure si è mosso qualcosa, con la decisione di investire nell’assunzione di personale medico/infermieristico e della Protezione civile, ma ugualmente “per la durata dell’emergenza sanitaria”.

Insomma, infermieri “usa e getta” in tante zone d’Italia, magari solo per sostituire colleghi costretti alla quarantena dopo i contatti inconsapevoli con i primi infettati dal Covid-19. Il tutto in barba alle legittime aspirazioni di migliaia di giovani e preparati laureati (costretti spesso a virare sulle opportunità di lavoro stabile offerte da altri paesi europei), e ai numeri della cronica carenza di infermieri, stimata in Italia dalla Federazione nazionale (Fnopi) in circa 50mila unità e che, con gli effetti di “quota 100”, potrebbe ancora aumentare sensibilmente.

Nello Giannantonio