Cosa può fare, in concreto, l’operatore socio-sanitario in Italia? Innanzitutto, non può somministrare terapie farmacologiche al paziente, ma può solo “aiutare – in sostituzione e appoggio dei familiari e su indicazione del personale preposto – per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e per il corretto utilizzo di apparecchi medicali di semplice uso”. Chiara la premessa del sottosegretario al ministero della Salute, Maurizio Fugatti, nella risposta data alla Camera ad una interrogazione presentata da Roberto Novelli e Claudio Pedrazzini (Forza Italia), i quali chiedevano al ministero di chiarire in che termini possano essere erogati farmaci dagli Oss e di provvedere ad uniformare i loro ruoli “eliminando le attuali disparità di formazione professionale diversa da regione a regione” e alla luce della sovrapposizione con il ruolo degli infermieri registrata sempre più spesso nelle strutture sanitarie italiane. In particolare, i due parlamentari hanno sottolineato fatti accaduti nell’azienda sanitaria del Medio Friuli, indice di una prassi secondo la quale, anche in conseguenza di una carenza di organico di personale sanitario, le figure di infermiere e operatore sociosanitario tendono ad interscambiarsi. “Il sospetto – si legge nell’interrogazione – è che per rincorrere il minor costo, vista la differenza di retribuzione tra operatori sociosanitari e infermieri, si cerchino spesso soluzioni organizzative più economiche”.
Stando al tenore della risposta del sottosegretario, nessuna confusione deve sussistere con la professione di infermiere, il quale deve anzi emanare direttive e supervisionare l’operato dell’Oss, a sua volta collocato nella categoria dell’Operatore di interesse sanitario ma non assimilabile alle professioni sanitarie, che conseguono un’abilitazione all’esito di un corso di studi universitario.
La legge 1 del 2002 – ricorda il ministero – ha poi stabilito i parametri della formazione complementare dell’Oss in assistenza sanitaria per consentirgli di “collaborare con l’infermiere o con l’ostetrica e di svolgere autonomamente alcune attività, assistenziali, in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e secondo le direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”. L’Oss con formazione complementare acquisisce insomma una sua “specializzazione”, conseguendo un attestato che gli consente di
collaborare con l’infermiere e con l’ostetrica nello svolgimento di alcune attività assistenziali,
nell’ambito, comunque, dei limiti ben individuati. Le sue funzioni devono essere coerenti con queste disposizioni e comunque non possono confondersi con quelle della professione sanitaria di infermiere. Nell’ambito dell’ordinamento costituzionale italiano – ricorda il ministero della Salute – resta, peraltro, affidato alle Regioni il compito di assicurare che in ciascuna realtà organizzativa venga data piena attuazione al quadro normativo di riferimento”.
In ogni caso, il sottosegretario Fugatti ha assicurato che il ministero è sempre pronto ad attivare i Nas in caso di segnalazioni di esercizio abusivo di professioni sanitarie.
Nello Giannantonio