Cambiano le regole per il distacco di lavoratori in ambito europeo. Innanzitutto, cos’è il distacco? È una pratica secondo cui un datore di lavoro, sussistendone reciproco interesse, pone temporaneamente a disposizione di un altro datore un proprio dipendente. La cosa può avvenire anche oltrepassando i confini nazionali, distaccando lavoratori in un altro paese Ue per svolgere un servizio temporaneo. È qui che stanno cambiando le regole. Un lungo negoziato ministeriale ha portato gli Stati membri ad un accordo sulla riforma della direttiva dedicata ai lavoratori distaccati risalente al 1996, alla luce del timore di un “dumping sociale” ad opera dei paesi dell’Europa dell’est, che fanno rilevare costi previdenziali e salariali più bassi dei paesi dell’occidente.
Con il distacco, infatti, le aziende pagano i dipendenti all’estero ma continuano a versare i contributi nel paese d’origine, evitando inoltre di corrispondere trattamenti retributivi e previdenziali vigenti sul luogo effettivo e temporaneo di lavoro, come ad esempio misure premiali, mensilità aggiuntive, bonus, strumenti di welfare. L’unico obbligo da rispettare è quello di non andare sotto il salario minimo nazionale, qualora fissato, dei paesi di destinazione dei lavoratori. E così, un lavoratore proveniente da una nazione nella quale è basso il peso dei contributi sociali, se distaccato, può costare decisamente meno di un lavoratore “locale”, pur a parità di mansioni e stipendio. Un vantaggio che favorisce, dunque, solo l’azienda che invia e non anche il paese che riceve forza lavoro. A cavalcare il fenomeno sono soprattutto economie dell’Est Europa, ma la pratica si sta diffondendo anche ad ovest. Una graduatoria in tal senso elaborata dalla Commissione Ue vede al primo posto la Polonia come numero di lavoratori distaccati, seguita a sorpresa dalla Germania (al sesto posto l’Italia). Ora la direttiva del ‘96 è stata corretta per quanto riguarda la durata del distacco (dodici mesi al massimo anziché ventiquattro, allungabili di altri sei su richiesta dell’impresa e con il benestare del paese di accoglienza). La riforma – che prevede comunque un periodo di transizione non breve – stabilisce poi che la società datrice di lavoro dovrà versare al proprio dipendente tutti i bonus retributivi previsti dal paese del distacco. A votare contro il compromesso sono state, non a caso, la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Ungheria. Il testo dovrà ora passare al vaglio del parlamento europeo.
Una precisazione, infine. La vicenda non riguarda le figure professionali in ambito sanitario che periodicamente l’azienda di consulenza internazionale “Germitalia” seleziona per i migliori policlinici della Germania o anche strutture private: i lavoratori scelti in Italia, infatti, vengono direttamente assunti dal datore di lavoro tedesco che applica i trattamenti retributivi (superiori a quelli italiani) e previdenziali regolamentati dalla propria contrattazione collettiva nazionale.
Nello Giannantonio