Alcuni commentatori sostengono che oramai il lavoro autonomo (per effetto dell’estensione di alcune tutele) stia diventando un po’ più subordinato e che il lavoro subordinato stia diventando al contempo un po’ più autonomo. In quest’ottica si inserisce la novella legislativa della legge 81/2017, che in Italia ha introdotto e regolato il cosiddetto “lavoro agile” o “smart working”, valido sia nel settore pubblico che privato.

Doverosa una premessa: non si tratta di una nuova tipologia contrattuale bensì di una modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato fissata da un accordo scritto tra datore e lavoratore (anche limitato ad un determinato periodo dell’anno), riguardante forme organizzative del lavoro che alternino alla tradizionale postazione fissa nella sede aziendale anche luoghi esterni scelti dal prestatore per lavorare come, ad esempio, la propria abitazione. Il tutto con il supporto di strumenti tecnologici messi a disposizione dal datore di lavoro, anche per prevedere un monitoraggio ed una rendicontazione del lavoro svolto lontano dalla sede (l’accordo scritto deve indicare infatti le forme in cui il datore esercita il proprio potere direzionale e disciplinare). Il lavoro agile non prevede particolari vincoli su orario e tempi di lavoro, purché il limite massimo dell’orario di lavoro settimanale e giornaliero derivante dalla legge o dal contratto individuale non venga violato. Al lavoratore, ad esempio, va garantito il cosiddetto “diritto alla disconnessione” dalle strumentazioni tecnologiche, quindi anche in termini di reperibilità, oltre una data fascia oraria. Il lavoro agile valorizza, dunque, la flessibilità organizzativa, certamente amplificata dalle nuove tecnologie. Resta qualche profilo di criticità, ad esempio in materia di tutela infortunistica, in attesa di un intervento ufficiale da parte dell’Inail: entro quali limiti sarà, ad esempio, indennizzato l’infortunio in itinere, vale a dire quello occorso al lavoratore per spostarsi da casa verso il luogo di lavoro e viceversa? Per il momento, la norma si limita ad estendere la tutela infortunistica ai luoghi della prestazione scelti dal lavoratore in un’ottica di “ragionevolezza” nel conciliare vita e lavoro, criterio tuttavia troppo astratto che potrebbe generare non pochi dubbi interpretativi.

Nessuna discriminazione al lavoratore agile, infine, in materia di retribuzione. L’articolo 20 della legge 81/2017 sancisce espressamente che il suo trattamento economico e normativo non può essere inferiore a quello previsto dai contratti collettivi per lavoratori che, all’interno dell’impresa, svolgono le stesse mansioni. E se l’esperimento dello “smart working” non soddisfa le parti? Si può recedere dall’accordo con un preavviso non inferiore a trenta giorni, con la conseguenza del ripristino della prestazione “in toto” all’interno dei locali aziendali.

Nello Giannantonio