Su contratti a termine e somministrazione una “mazzata” per datori di lavoro e operatori; sui contratti a tempo indeterminato, invece, la riproposizione del palliativo già in essere nel 2018 (decontribuzione triennale del 50% per assunzioni di under 35). Sulla spinta all’occupazione nel settore privato, ad ora, è solo illusorio l’impatto del nuovo governo, che potrebbe riscattarsi solo con un forte e concreto piano di assorbimenti nel settore pubblico, quello che negli anni Settanta-Ottanta ha comunque garantito occupazione a tante persone che, in uno scenario come quello attuale, risulterebbero di difficile inserimento.
Nel settore privato, invece, il nuovo quadro normativo non può offrire grandi speranze ai giovani in cerca di lavoro nel proprio paese. Sui contratti a termine, terminato il 31 ottobre il regime transitorio per i rapporti già in essere prima del decreto Dignità, è scattata la paralisi per molte aziende, che preferiscono non prolungare i contratti in scadenza: con le nuove regole, infatti, per prorogare un rapporto a termine oltre il dodicesimo mese o per riassumere a tempo lo stesso soggetto (sempre entro il nuovo tetto di complessivi 24 mesi) occorre indicare delle causali che, a giudizio della più autorevole dottrina, sono di fatto inapplicabili (esigenze temporanee estranee all’ordinaria attività o incrementi significativi ma nemmeno programmabili dal datore). E le stesse stringenti regole si applicano ora anche ai contratti in somministrazione che abbiano una scadenza. Prima, nel regime “acausale” del contratto a termine, si riusciva invece a lavorare fino a 36 mesi alle dipendenze dello stesso datore senza il problema del ricorso alle ragioni giustificatrici.
Parallelamente, le agevolazioni finalizzate a favorire l’occupazione a tempo indeterminato figurano sempre nei programmi degli ultimi governi producendo, tuttavia, sempre risultati modesti e confermando che l’occupazione la si favorisce, piuttosto, con politiche industriali, fiducia per gli investitori e, perché no, una riduzione del costo del lavoro, perché poi i benefici di ingresso (nemmeno più così allettanti come la vecchia legge 407 al Sud) terminano e, a regime, il costo di un lavoratore in Italia resta elevatissimo, quasi insostenibile. Non sconvolge, in questo contesto, la misura per favorire l’occupazione a tempo indeterminato inserito nella legge di conversione del Decreto 87/2018, che prolunga, nella sostanza, al 2019 ed al 2020 le agevolazioni contributive già previste dalla legge 205/2017 per l’anno 2018. Il beneficio, previsto per un massimo di 36 mesi, consiste nell’esonero dal versamento del 50% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi Inail, nel limite di 3.000 euro su base annua. L’agevolazione spetta ai datori di lavoro privati (anche non imprenditori) che assumono lavoratori under 35 i quali non siano, però, mai stati occupati con rapporto a tempo indeterminato (con lo stesso o altro datore di lavoro). E questa è una forte limitazione, perché basta aver lavorato in precedenza anche un solo giorno a tempo indeterminato o essersi dimessi durante un periodo di prova per precludere la fruizione dell’agevolazione e non essere portatore di questa “dote” contributiva, in alcuni casi decisiva ai fini della scelta del giovane da assumere.
Nello Giannantonio